Il flagello delle notizie false ha segnato un punto decisivo durante il 2016, e quest’anno urge porvi rimedio.
I player più influenti come Google e Facebook si sono già mossi a riguardo.
Inizialmente hanno tentato di scrollarsi di dosso ogni responsabilità, ma oggi hanno accettato il loro nuovo ruolo di mass media.
La verità come al solito sta nel mezzo, perché se è vero che ormai l’informazione passa da Facebook e BigG, uno studio dimostra che più della metà delle persone condivide notizie solo in base a titolo e immagine.
Il problema è quindi principalmente culturale, perché la massa non vuole cambiare idea. Preferisce confermare le opinioni preesistenti, e ogni notizia falsa in grado di soddisfare questo bisogno è pronta a diventare virale.
Ma facciamo finta che la media del buonsenso sia solo destinata a scendere:
Come sviluppare un sistema in grado di prevenire il problema crescente delle notizie false?
Se tutto è nato dalla possibilità di guadagnare sul traffico grazie a spazi pubblicitari – forniti da Google AdSense a prescindere dalla qualità dei contenuti – la risposta è ovvia: basta impedire alle pagine che fanno disinformazione di guadagnare dall’advertising.
Facebook gioca un ruolo importante in quanto veicolo del traffico, e può ridurre drasticamente la visibilità alle condivisioni senza lettura, e viceversa se l’utente legge l’articolo fino in fondo in tempi realistici.
Google invece, giocatore di punta, sta chiudendo e chiuderà gli account AdSense dei siti di notizie false, eliminando per loro (quasi) ogni possibile ricavo.
Il problema ora è la scelta di questi siti, perché ha già fatto scalpore il caso di Claudio Messora aka ByoBlu: le sue opinioni sono spesso forti e controverse, ma restano opinioni. Non false informazioni.
Chiudere l’account AdSense a Messora rappresenta l’inizio della fine dell’informazione libera, la grande conquista di internet. O almeno questo è il timore di molti.
Timore giustificato da un sistema che agisce in modo dittatoriale e senza preavvisi; neanche un ultimatum, neanche una possibilità di reclamo.
Che fine ha fatto la democrazia di internet e dei sistemi opensource?
Se Google intende porsi come garante di questa rivoluzione deve evitare altri errori e rimediare a quelli commessi, perché rischia di perdere la fiducia degli internauti conquistata in decenni di incredibili progressi.
Anche perché il metro di paragone pare essere quello delle grandi testate giornalistiche, proprio quelle che spesso sono in errore, voluto o involontario che sia.
In conclusione è giusto partire dal basso per imporre un nuovo standard – da definire più precisamente.
Ed è giusto che i grandi media odierni quali Google e Facebook collaborino per questo fine.
Ma è ancora più giusto non penalizzare l’informazione alternativa che rende il mondo più attento e consapevole, altrimenti il rischio è di tornare alle origini.